Le bevande derivate dalla fermentazione di cereali hanno origini in tempi antichissimi nel cuore del Mediterraneo, là dove nasce l’agricoltura. La birra trova uno spazio importante negli antichi testi sumerici dove viene percepita come segno di una civiltà alimentare nuova perché, come il pane, è prodotto dell’uomo. I Sumeri producevano diverse tipologie di birra che venivano utilizzate sia nel quotidiano che in ambito religioso. Lo stesso si può dire degli Egizi che la apprezzavano come bevanda, la usavano come moneta per il pagamento degli operai e veniva inoltre offerta a diverse divinità nel corso dei funerali per garantire un tranquillo riposo al defunto. In queste occasioni veniva anche consumata dai parenti per celebrare le virtù della persona venuta a mancare. Era tenuta in considerazione anche come come cura, per guarire malattie e per sanare le ferite come testimoniato nel Papiro Ebers, risalente al 1550 a.C. e conservato all’ Università di Lipsia in Germania.
Nella nostra penisola ne furono grandi estimatori gli Etruschi che probabilmente la fecero conoscere ai Romani, i quali, però, ne subiscono poco il fascino tanto che Tacito la definì vinus corruptus. C’è però qualche illustre eccezione come Giulio Agricola, governatore della Britannia, che amò a tal punto questa bevanda da voler portare con sé al suo rientro a Roma alcuni mastri birrai per poter produrre la birra direttamente.
La birra prodotta in Mesopotamia e in Egitto era diversa da quella che conosciamo oggi, più acidula e dolce e più densa, ma comunque profondamente apprezzata perché era una bevanda igienica che dava la possibilità di sostituire l’acqua, troppo spesso contaminata da micorganismi patogeni e non potabile. Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente una forte spinta evangelizzatrice portò alla fondazione di numerosi conventi in tutta Europa che consentirono, tra l’altro, la sopravvivenza e il perfezionamento delle tecniche birrarie. L’uso del luppolo, iniziato già dal IX sec, viene canonizzato nel XII secolo grazie agli studi compiuti da Hildegard von Bingen, badessa di Rupertsberg, in Renania che lo descrisse come benefico per la salute fisica, capace di preservare qualsivoglia bevanda, perfetto per donare amaro, aroma e stabilità alla birra. Da questo momento la birra assume quel tipico sapore amarognolo, diventa più limpida e soprattutto conservabile. Per evidenziare la novità delle birre caratterizzate da questa pianta, si affermò la specifica espressione “bier.”
In Italia le prime produzioni di un certo rilievo risalgono a metà ‘800 e vedono l’affermarsi di nomi quali Spluga, Wuhrer, Dreher, Paskowski, Metzger, Caratch, Von Wunster . Nel 1890 erano presenti sul territorio italiano circa 140 realtà per una produzione approssimativa di 160.000 hl. di birra. Dopo la Prima Guerra Mondiale si potevano contare più di una sessantina di stabilimenti e la capacità produttiva superava il milione di ettolitri. Nel 1925 i consumi pro capite salirono a circa tre litri e mezzo e questo portò al consolidamento della Wuhrer a Brescia, la Dreher a Trieste, la Paskowski a Firenze e Roma, le Birrerie Meridionali a Napoli di proprietà della famiglia Peroni, la Pedavena a Feltre, la Poretti a Iduno Olona, la Moretti a Udine, la Wunster a Bergamo.
La politica agricola attuata per difendere il mercato del vino e, in particolare l’entrata in vigore della Legge Marescalchi nel 1927 emanata per favorire l’impiego di riso e mais, imposero ai birrai una serie di misure e restrizioni i cui effetti negativi non tardarono a farsi sentire. A distanza di tre anni la produzione crollò a mezzo milione di ettolitri e portò al fallimento di molte fabbriche. Bisogna aspettare il boom economico per vedere la ripresa dei consumi di birra che spinsero le produzioni a superare 1,5 milioni di ettolitri.
A partire dagli anni Sessanta, con lo sviluppo della grande distribuzione, complice anche un’importante campagna pubblicitaria, la birra si affermò come bevanda popolare, soprattutto nel consumo giovanile e nelle pizzerie. Nel 1975 la produzione si attestava ad otto milioni di ettolitri e il consumo pro capite sfiorava i sedici litri con un aumento costante che ha portato nel 2019 a un consumo di circa 34,6 litri pro capite e a una produzione che supera i 17 milioni di ettolitri.
Un'altra tappa importante della storia della birra in Italia riguarda i birrifici artigianali che iniziano a diffondersi da metà anni ’90 dopo l’autorizzazione dell’homebrewing. Attualmente si contano nel nostro Paese quasi 1000 attività, suddivise tra birrifici e brewpub. Un fenomeno che negli ultimi 15 anni è decuplicato. A Viterbo i primi birrifici artigianali compaiono alla fine degli anni 2000, piccole realtà che sono cresciute e hanno consolidato la propria reputazione convincendo pienamente il popolo sempre più numeroso degli appassionati.